Loro 1, Sorrentino e le pecore

Il film di Sorrentino lavora lentamente nell’immaginario, penetrando nel profondo. Certo, solo se ti lasci coinvolgere nel dialogo  visivo, vivi momenti di emozione, di fastidio, di fascino, di disgusto, di commozione, di poesia.

Di fronte allo scorrere delle immagini si aprono diversi livelli di lettura, non sempre immediati, che possono affiorare lentamente nelle ore/giorni successivi. La potenza delle  visioni del regista credo nasca dal saper mescolare iconografie della storia dell’arte a simboli più immediati, a miti e riti della nostra cultura ( e non solo) con storie dell’oggi, troppo vicine a noi per essere guardate con distanza o indifferenza.

Sequenze che intrecciano sguardi sul mondo a racconti del desiderio, del sogno, a pulsioni profonde legate a istinti più viscerali.

L’intrusione di una candida pecora, che entra curiosa e guardinga nell’elegante e tecnologica  villa di Berlusconi in Sardegna, è emblematica; spaesata, non riconosce il proprio ambiente, la campagna sarda, luogo  di una cultura pastorale che ha radici in una storia millenaria, fatta di fatica, lavoro, ma anche di natura spettacolare e incontaminata, violentata dalle costruzioni turistiche.
La pecora non è abituata a climi differenti dal proprio naturale e soccombe al freddo meccanico  del condizionatore.
Muore,  come agnello indifeso, sacrificato.

Figura sacra, l’agnello si ripete nelle rappresentazioni cristiane dei luoghi di culto, di cui la nostra terra è costellata. Sacrificio che avviene nella casa di “LUI” o “DIO”, come lo chiamano “LORO”.

L?inquadratura dell’altra villa che s’affaccia su quella di Berlusconi, dove gli ospiti allineati sulle balconate e su tre livelli, in silenzio, dopo un’orgiastica festa, cercano con sguardo fisso e disperatamente l’uomo dei loro sogni, è tra le più intense del film.

Paradossalmente richiama immagini di immigrati, assiepati lungo i parapetti delle loro imbarcazioni, tesi spasmodicamente a raggiungere la loro meta che via via all’orizzonte si fa possibile. Sguardi  di desiderio, di speranza, di paura.

“LORO” sono tutti  uguali, alla fine, con  corpi nudi esibiti  a forza, carichi di una artificiale e torbida sensualità, scatenata da una pioggia “magrittiana” di pillole colorate e segnate da volti urlanti e devastati, droga per la loro sopravvivenza: si muovono tutti insieme,  come un “gregge di pecore”.

Ivetta Galli