UNA “BUONA NOVELLA” DIPINTA, CASTELSEPRIO – 3. SOGNO DI GIUSEPPE E VIAGGIO A BETLEMME

QUALE PATERNITA’ PER GIUSEPPE?

Proseguendo la lettura oltre la suggestiva icona del Cristo Pantocratore, di cui farò un approfondimento specifico, i due episodi che chiudono il registro superiore del ciclo, vedono entrare in scena Giuseppe con un ruolo più definito.

Giuseppe sta dormendo sdraiato su di un giaciglio color azzurro con lenzuolo porpora; ha una mano abbandonata sulla gamba e veste la stessa tunica del frammento pittorico precedente; purtroppo il volto è gravemente danneggiato e non possiamo capire quale sfumatura emotiva Giuseppe esprima per il conflitto lacerante di dover accettare un figlio non suo. Il carico di responsabilità che si assume non cancellerà mai del tutto un sentimento di disagio che, vedremo, riemergerà nella scena della Natività.

La figura dell’angelo in volo è disposta parallelamente a lui e, con atteggiamento sicuro, interviene per rassicurarlo e convincerlo ad accettare una paternità, di cui non è protagonista, in nome della fede.

Un’elegante colonna a sinistra introduce la scena e costruisce, con altri elementi architettonici classici, una cornice al sogno, aprendo la vista di una prospettiva lontana su di un paesaggio di cui cogliamo alcuni tratti.

Il racconto prosegue con il Viaggio a Betlemme, per il censimento.

(Giuseppe) Sellò quindi l’asina e vi fece sedere Maria, e suo figlio conduceva la bestia, e Giuseppe li seguiva.... le disse:”Maria , che cos’hai, che vedo il tuo viso ora ridente ora accigliato?” E disse Maria a Giuseppe: “E’ perchè vedo con i miei occhi due popoli: uno che piange e si batte il petto, l’altro che è lieto ed esulta”. (Protovangelo di Giacomo. XVII).

Maria è seduta lateralmente su di un asinello che avanza a fatica e sembra scalpitare per il peso della donna ormai prossima al parto; l’asino è trainato da un giovane, Giacomo, il figlio di Giuseppe, di cui si scorge la gamba tesa nello sforzo del cammino. Un frammento d’ala a destra del nimbo di Maria, disegnato sotto le torri della fortezza di Betlemme, lascia supporre che un angelo seguisse in volo il gruppo. Ancora, dunque, una inconsueta e sapiente sintesi tra i due Apocrifi che ispirano questi dipinti: nel testo dello Pseudo Matteo non viene citato Giacomo, ma un angelo, come guida.

Giuseppe avanza con un bastone, curvo e stanco per il viaggio; tuttavia, tutta la sua attenzione è teneramente rivolta a Maria, incuriosito dal suo stato d’animo e dalle sue repentine variazioni d’umore; pare dialogare con lei, con grande rispetto per la sua condizione. Maria con una mano accarezza il ventre e con l’altra s’aggrappa al lenzuolo /sella dell’asino.

Il gruppo familiare sta uscendo dalla cittadina di Betlemme, oltrepassando la porta delle mura della città dove non ha trovato alloggio e in cerca di un riparo per la notte.

APPROFONDIMENTO ICONOGRAFICO

Il Sogno di Giuseppe e il Viaggio a Betlemme sono qui rappresentati in sequenza; troviamo poche, ma importanti, testimonianze artistiche dello stesso accostamento.

Nell’avorio della Cattedra di Massimiano, a Ravenna, del VI secolo, i due episodi sono rappresentati sovrapposti nella stessa formella e il Sogno di Giuseppe vede disposte le figure in modo simile a quelle di Castelseprio, mentre la versione del Viaggio a Betlemme riprende il racconto del Vangelo dello Pseudo Matteo, introducendo un angelo che guida il gruppo familiare, e che dialoga con Giuseppe.

Rilievo eburneo della Cattedra di Masimiano, VI sec., Ravenna, Museo Arcivescovile.

All’interno di San Marco a Venezia, il registro musivo dell’infanzia di Cristo vede accostati i due episodi, mettendo in scena i tre protagonisti del Protovangelo di Giacomo.

Mosaici della Cattedrale di San Marco a Venezia, XII secolo

Mentre il Sogno di Giuseppe, che nei Vangeli Apocrifi introduce alla Prova delle acque amare, è raramente rappresentato e a volte confuso con il Sogno che precede la Fuga dalla persecuzione di Erode, il Viaggio a Betlemme compare più frequentemente negli antichi cicli pittorici sull’Infanzia di Cristo e spesso viene confuso con la Fuga in Egitto.

CHE FARO’ IO?

La necessità di sottolineare “l’accoglienza” da parte di Giuseppe di una paternità non biologica è particolarmente sottolineata nei Vangeli Apocrifi, e il Sogno di Giuseppe diviene un tassello fondamentale per questa operazione, volta a ribadire il tema il tema dell’Incarnazione di Dio in Cristo.

Nel ciclo di Castelseprio l’angelo che appare a Giuseppe ha le stesse generali connotazioni dell’Arcangelo Gabriele, tranne che per i tratti del volto e la capigliatura, scelta che conferisce una nota di umanità anche a questo soggetto incorporeo; sguardi e gesti sono curati con una attenta definizione psicologica e finezza descrittiva; mi colpisce anche da un lato il volto giovane e delicato dell’Arcangelo Gabriele, dall’altro il profilo più marcato, maturo e non idealizzato dell’angelo che appare a Giuseppe; potrebbe anche essere il risultato di pittori diversi.

Nei mosaici paleocristiani dell’arco trionfale di Santa Maria Maggiore a Roma l’episodio del Sogno segue l’Annunciazione:

Mosaici dell’arco trionfale di Santa Maria Maggiore, V secolo, Roma

Giuseppe è in piedi e rivolto all’angelo che lo sta convincendo ad accogliere Maria e la sua gravidanza; a destra e a sinistra dei protagonisti ci sono due architetture, a sottolineare che ancora Maria e Giuseppe vivono in case separate.

Uno schema, in parte simile, che troviamo disegnato anche in una miniatura del MS gr. 74, conservato a Parigi, decisamente più tarda, dell’XII secolo:

Miniatura da MS gr. 74, Parigi, Biblioteca Nazionale

LA CASA DI GIUSEPPE

L’ambientazione architettonica dell’episodio a Castelseprio è particolarmente ricca; gli elementi che incorniciano il Sogno sembrano citazioni di dipinti classici: una colonna con capitello simil corinzio, sulla quale poggia forse una meridiana, un drappo rosso annodato al fusto della stessa; il capitello regge un piedritto con arco ribassato (forma che ritorna frequentemente) che prospetticamente “sfonda” verso destra, sostenuto da un robusto pilastro; si intravvede poi una villa con finestre alte e strette, due torri laterali, su modelli romani, con brani di paesaggio intrecciati ma poco visibili. Un gioco tra interno/esterno che ritroveremo nelle costruzioni architettoniche della pittura del XIII e XIV secolo.

Sono stati evidenziati da molti studi le corrispondenze tra questi elementi e i disegni delle miniature del MS gr. 510 delle Omelie di San Gregorio di Nazianzo, risalente alla fine del IX secolo e con il Salterio di Parigi, MS gr.139, del X secolo (ultima immagine delle quattro), ambedue conservati nella Biblioteca Nazionale di Francia:

1,2,3, MS gr. 510 delle Omelie di San Gregorio, risalente al IX; 4, MS gr.139, del X secolo

E’ indubbio che, se da un lato esistono evidenti riscontri iconografici, il Maestro di Castelseprio dimostra di saper costruire una scenografia decisamente più proporzionata e integrata alle figure protagoniste, rivelando un controllo nella impaginazione dello spazio decisamente unico.

IN CAMMINO, VERSO BETLEMME

Oltre agli esempi già riportati, in Cappadocia, nei cicli cristologici dell’Infanzia, tra X e XI secolo, si trovano dipinti dell’iconografia del Viaggio a Betlemme strutturata come da versione del Protovangelo di Giacomo.

Di seguito una carrellata degli esempi che sono riuscita a raccogliere, a cui ho aggiunto il mosaico più tardo del XIV secolo di Kariye Kami ad Istanbul, preceduto dal Sogno di Giuseppe.

Per la documentazione relativa alla Cappadocia: Catherine Jolivet-Levy, Les Eglises Byzantines de Cappadoce, Edition du CNRS, e il sito: bancadati.museovirtualecappadocia.it/pschede, raccolta di dati che nasce dalle ricerche sul campo della missione italiana dell’Università della Tuscia nella Cappadocia rupestre a partire dal 2006. Direttore della missione: Maria Andaloro.

INDAGINE SU PARTICOLARI DI FIGURA E DI ARCHITETTURA

Per quanto i confronti proposti non diano risposta in merito ai problemi cronolocigi che il ciclo di Castelseprio pone, i frammenti raccolti possono costituire ulteriori riflessioni per la ricerca.

Un disegno del Codice Vat. gr. 699, f.59 di Cosma Indicopleus, originario di Alessandria d’Egitto, del VI secolo, propone suggestivi modelli grafici confrontabili con l’affresco, anche se non riguardano la stessa iconografia

Un altro riscontro interessante riguarda la figura dell’asino; dallo studio degli affreschi di San Salvatore a Brescia è emersa una sinopia, che probabilmente riguarda “La fuga in Egitto”, in cui la corrispondenza con l’asino di Castelseprio, (messa in evidenza da Saverio Lomartire in “Riflessioni sulla decorazione del San Salvatore di Brescia alla luce delle nuove indagini archeologiche” in https://journals.ub.uni-heidelberg.de › article › downloadPDF), è indiscutibile.

Infine qualche immagine sull’ambientazione architettonica dell’episodio, messa in relazione con gli affreschi carolingi di San Giovanni a Mustair e della Cripta di Sant’Epifanio a San Vincenzo al Volturno del IX secolo, nello studio di John Mitchell (IV. THE PAINTINGS, Nuove ricerche su sequenza, cronologia e contesto degli affreschi di Santa Maria foris portas di Castelseprio, a cura di Gian Pietro Brogiolo, Vincenzo Gheroldi, Flavia De Rubeis, John Mitchell, 2014).

Di Mustair viene proposto un particolare architettonico dell’episodio della Guarigione del sordomuto, di San Vincenzo al Volturno, il Martirio di Santo Stefano.

Si riprone la stessa osservazione precedente della più organica risoluzione del problema spaziale a Castelseprio, al di là delle affinità di alcune strutture architettoniche ricorrenti.

Ivetta Galli

UNA “BUONA NOVELLA” DIPINTA, CASTELSEPRIO – 2. LA PROVA DELLE ACQUE AMARE

DITE LA VERITA’?

Se il tutto non fosse riscattato dalla poesia visiva e dal valore artistico, l’episodio documenterebbe un assurdo ” rito della verità”, di cui si parla nell’Antico Testamento, a cui una donna sospettata di adulterio veniva sottoposta per dimostrare la propria innocenza.

Il pittore di Castelseprio mette in scena il brano del Vangelo dello Pseudo Matteo che coinvolge nella verifica della verità anche Giuseppe; di Giuseppe si scorge solo il frammento delle gambe dalle ginocchia in giù, coperte da una morbida tunica chiara a fasce, e i piedi nudi in scorcio, valorizzati da una sottile linea d’ombra.

“… Maria fu condotta al Tempio… Giuseppe fu chiamato all’altare e gli fu data l’acqua della bevanda del Signore: il bugiardo che l’avesse gustata, dopo che aveva compiuto sette giri attorno all’altare, riceveva da Dio un qualche segno sulla faccia. Giuseppe, dunque, dopo aver bevuto sicuro, compì i sette giri attorno all’altare, e in lui non apparve alcun segno di peccato…. Maria… si apprestò fiduciosa all’altare del Signore e bevve l’acqua della bevanda, fece sette giri intorno all’altare e in essa non trovò macchia alcuna…” (Pseudo Matteo, 12, 2,3).

Maria, china di fronte al sommo sacerdote, che potrebbe essere Zaccaria, padre di Giovanni Battista, si avvicina umilmente alla brocca da lui sostenuta, con la mano destra tesa al recipiente e l’altra mano velata. E’ l’anziano Zaccaria che colpisce per lo sguardo concentrato, preoccupato, ma anche protettivo nei suoi confronti.

Il contesto architettonico dipinto attorno ai protagonisti, che nell’approfondimento analizzerò anche in merito ad alcune recenti scoperte, confermano il valore artistico del pittore, capace di costruire anche coerenti cornici scenografiche.

APPROFONDIMENTO ICONOGRAFICO

1. LA PROVA DELLE ACQUE AMARE

L’episodio di Castelseprio è una testimonianza oggi molto rara tra quelle conservate; alcuni parallelismi sono riscontrabili coi cicli dipinti delle chiese rupestri in Cappadocia, a partire dal X secolo.

I manufatti più antichi che narrano questo evento spesso si rifanno al testo del Protovangelo di Giacomo. Tra le immagini proposte, alcuni esempi trovati che risultano realizzati sempre in area orientale e bizantina.

2. SOMMO SACERDOTE: ZACCARIA?

Il sommo sacerdote, figura autorevole e anziana, con barba e lunghi capelli bianchi, veste l’abbigliamento tipico della cultura ebraica: abiti liturgici preziosi, con paramenti che ricoprono la veste decorati con gemme ancor oggi in parte rilucenti; particolare è il nastro che ferma i capelli e che in cima regge un oggetto quadrangolare, probabilmente il contenitore in metallo che conteneva la scritta “Santo è il Signore”, proprio dei sommi sacerdoti in Israele.

Il sommo sacerdote, finemente inquadrato nella cultura ebraica, ha un nimbo azzurro, a differenza di Maria che lo porta color giallo/oro, elemento che ne sottolinea la santità e che lo identifica probabilmente con Zaccaria, figura fondamentale nei racconti evangelici dell’Infanzia di Cristo, di cui ritornerò a parlare in merito alle scene mancanti del ciclo di Castelseprio.

L’iconografia di Zaccaria nell’arte altomedievale e medievale si propone spesso con invarianti riconoscibili:

Affresco dal catino absidale di Santa Sofia a Benevento, VIII sec.; mosaico dal Monastero di Hosios Loukas, Grecia, XI sec.; affresco dal Monastero della Santa Croce a Gerusalemme, medievale.

A questo oggetto sacro posto sul capo spesso si associa un turibolo, contenitore per incenso, che Zaccaria tiene in mano, a volte appeso ad una catenella. E’ affascinante notare, anche in questo piccolo esempio, come il nostro maestro di Castelseprio, pur rimanedo ancorato a modelli convenzionali bizantini, riesca a rielaborarli in maniera del tutto originale.

3. LO SPAZIO ARCHITETTONICO DIPINTO

Lo spazio absidale che incornicia la scena riprende elementi architettonici di arredo che rimandano ad edifici paleocristiani legati alla capitale d’Oriente. In particolare i gradoni disegnati ad esedra, con tessuto azzurro e cuscino nella parte alta centrale, ripropone il “syntronon”, struttura semicircolare con trono vescovile al centro, collocata nell’abside di alcune chiese paleocrisiane e bizantine.

Una costruzione che documenta questa struttura può essere rintracciato nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Grado, del V sec.:

Abside con syntronon in Santa Maria delle Grazie, Grado (Gorizia) del V secoloav

Ma altri esempi interessanti sono documentati in Sant’Irene e Sant’Eufemia a Costantinopoli, del VI secolo, come nella basilica di Santa Maria Assunta a Torcello, dell’XI secolo.

Un modello importante di Syntronon è disegnato nella miniatura del Codice delle Omelie di Gregorio di Nazianzo, MS. gr. 510, del IX secolo:

MS gr. 510, Parigi, Biblioteca Nazionale

Un’interessante ipotesi in merito a questo elemento di arredo architettonico a Casteseprio viene avanzata da Pietro Brogiolo nello studio pubblicato nel 2014 “Nuove ricerche su sequenza, cronologia e contesto degli affreschi di Santa Maria foris portas di Castelseprio”. a cura di Gian Pietro Brogiolo, Vincenzo Gheroldi, Flavia De Rubeis, John Mitchell.

In seguito ad analisi effettuate sui tre strati di intonaco sovrapposti nell’abside, Brogiolo osserva che nella zona centrale non è presente il secondo strato intermedio, in corrispondenza di una superficie che potrebbe configurarsi come un arredo ligneo simile ad un syntronon, collocato dunque contestualmente al secondo strato di intonaco.

Il terzo ed ultimo strato è quello del ciclo dipinto, per la cui realizzazione potrebbe essere stato rimosso l’arredo ligneo, sul quale il pittore ha steso l’intonaco necessario per il racconto: il syntronon dipinto a cornice della Prova delle acque amare non può essere una “citazione” di quello realmente preesistente?

Certo occorrerebbe approfondire se avesse senso la presenza eventuale di trono vescovile a Castelseprio, o di una struttura che ne imitasse la forma.

Ivetta Galli

UNA “BUONA NOVELLA” DIPINTA, CASTELSEPRIO – 1. ANNUNCIAZIONE E VISITAZIONE

Stregata dai dipinti di Castelseprio, quarant’anni fa come adesso, riprendo in mano appunti e documenti allora raccolti attorno a questo affascinante mistero di arte altomedievale e cerco aggiornamenti e nuovi studi.

Importanti recenti tasselli arricchiscono la comprensione degli affreschi; tuttavia, la mancanza di documenti d’archivio, che ne testimonino la committenza, lascia ancor oggi aperta la discussione sulla individuazione dell’epoca di realizzazione degli stessi.

Una sintesi interessante dei principali studi storiografici maturati attorno a questo ciclo pittorico riemerso dal 1944, per merito di Gian Piero Bognetti, viene proposta da Paolo Nobili nella rivista Porphyra dell’aprile 2010, al seguente link: http://www.porphyra.it/supplemento11.pdf. Rimane sempre molto valido il contributo di Maria Andaloro nell’Enciclopedia Treccani, del 1993, al seguente link: https://www.treccani.it/enciclopedia/castelseprio_(Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale).

Con questi appunti vorrei accompagnarvi lungo quel percorso di indagine che più mi attrae, esplorando immagini ed iconografie di simile contenuto, tra alcune testimonianze artistiche sopravvissute nell’Altomedioevo.

Storie, figure e forme che ci parlano di migrazioni, rapporti e intrecci tra oriente e occidente, nella parte di mondo che si affaccia sul Mediterraneo orientale; una storia antica ma, nello stesso tempo, ancora attuale.

Di “Buona Novella” si tratta, citando Fabrizio De André, a suo tempo attratto dai racconti dei Vangeli Apocrifi, tanto da permettergli di creare un album musicale estremamente suggestivo, che trae spunto da racconti evangelici colorati di umanità e sentimenti, calati in una realtà possibile pur se a tratti sconfinante nel “mistero del sacro”.

Presento il ciclo affrontandolo per episodi e tematiche figurative; quindi ho suddiviso la lettura delle diverse iconografie in una prima presentazione divulgativa e una seconda parte di approfondimento disciplinare.

IL RACCONTO COMINCIA…

Il racconto inizia da questa giovane donna, affacciata ad un’apertura alle spalle di Maria, dal suo gesto spontaneo di stupore e meraviglia per ciò che vede: un angelo con grandi ali spiegate che sta parlando con Maria. Probabilmente è una delle cinque vergini che sarebbero restate con Maria nella casa di Giuseppe finché non si fossero sposati, come aveva stabilito il sommo sacerdote, secondo il Vangelo Apocrifo dello Pseudo Matteo.

MS Vat. Gr. 1162, XII sec. – “…Allora Giuseppe prese Maria con altre cinque vergini che dovevano restare con lei nella sua casa. Queste vergini erano: Rebecca, Sefora, Susanna, Abigea e Cael, alle quali fu dato, dal pontefice, seta, giacinto, bisso, scarlatto, porpora e lino… A Maria toccò di prendere la porpora per il velo del Tempio del Signore.” (Vangelo dello Pseudo Matteo)

Maria era andata a prendere l’acqua alla fonte e, mentre attingeva l’acqua, un angelo le si era avvicinato dicendole: “Sei beata, Maria, perché nel tuo utero hai preparato un’abitazione per il Signore. Ecco che dal cielo verrà la luce e abiterà in te e, per mezzo tuo, risplenderà in tutto il mondo”. (Vangelo dello Pseudo Matteo)

Qui nel dipinto è seduta su un morbido cuscino, sulla soglia della sua casa, accanto a lei una brocca, appoggiata a terra, traccia della prima annunciazione; ora Maria alza lo sguardo verso Gabriele che, apparso per la seconda volta, si china verso di lei e la benedice. Gabriele impugna una lunga asta, veste una tunica chiara sulla quale sono disegnate fasce rettangolari di stoffa decorata; un nastro trattiene la riccia capigliatura che incornicia un volto vivace e giovane, dallo sguardo intenso rivolto a Maria.

Maria con l’indice della mano sinistra, che stringe il fuso e la rocca su cui è avvolto il filo di porpora srotolato dai gomitoli della cesta ai suoi piedi, si indica, con un velo di dubbio, proprio io?

Un’istantanea fotografica, un racconto visivo che rende talmente vero ed efficace l’evento miracoloso da proiettarci con forza all’interno del dialogo tra i due protagonisti.

E, come in una sequenza incalzante, di seguito si delinea la scena della Visitazione: Maria è china nell’abbraccio con Elisabetta, che teneramente appoggia la mano sul ventre gravido della cugina; Elisabetta è purtroppo quasi del tutto persa, così come quello che seguiva a chiudere la scena, probabilmente la sua casa; non per questo viene meno la forza della tenerezza e della solidarietà tra donne in attesa.

Il mistero della gestazione di Maria si dissolve in una narrazione carica di umanità; il pittore ha tradotto in una sintesi visiva perfetta i brani dei vangeli apocrifi, il Vangelo dello Pseudo Matteo e il Protovangelo di Giacomo: il racconto delle due apparizioni di Gabriele a Maria, la prima, quando si trova ad attingere l’acqua alla fonte, la seconda, mentre fila la porpora davanti la casa, a cui assiste la giovane donna che vive con lei; infine, l’incontro tra cugine che avviene all’aperto, secondo la tradizione apocrifa e non quella del Vangelo di Luca, in cui l’evento avviene nella casa di Zaccaria, marito di Elisabetta.

APPROFONDIMENTO ICONOGRAFICO

La presenza di segni iconografici raffinati, ci fa presumere che il pittore avesse una ricca cultura figurativa e si muovesse con disinvoltura e familiarità tra i testi evangelici apocrifi e canonici; l’artista, inoltre, padroneggiava un linguaggio immediato, spontaneo, naturalistico, con una declinazione ellenistica che i contemporanei testi figurativi, ad oggi conosciuti, parevano aver abbandonato.

1. Annunciazione alla fonte

La brocca ai piedi di Maria non è lì per caso, ci riporta al momento dell’Annuncio alla fonte.

Indagando alcune testimonianze artistiche di rappresentazioni apocrife dell’evento, troviamo prevalentemente manufatti legati alla cultura costantinopolitana, a testimoniare la diffusione di tali soggetti soprattutto in oriente, ma anche il sarcofago di Adelfia, di origine romana del IV sec, rinvenuto nelle catacombe di Siracusa, a documentare una presenza di tali temi anche in area occidentale.

a. Il  Sarcofago di Adelfia (f.1), conservato a Siracusa, di origine romana, è datato al IV-V secolo: il rilievo che ci interessa è collocato a sinistra del clipeo con la coppia di sposi e presenta tre scene che attingono la propria struttura dai Vangeli Apocrifi, secondo le ultime ipotesi interpretative che condivido.

La sequenza inizia con la fonte, a cui Maria sta attingendo l’acqua, vegliata dalla personificazione della sorgente stessa, con alle spalle l’Angelo Gabriele aptero, che le sta parlando.

Segue la rappresentazione di Maria accompagnata da due giovani ragazze, probabilmente una rara “figura” di Maria che viene sostenuta simmetricamente da due donne mentre riceve la grazia divina. L’iconografia viene individuata da André Grabar (nel testo “Le vie della creazione nell’iconografia cristiana”, Jaca Book, 1988) ed, a riguardo, cita due esempi: gli affreschi in San Clemente ad Ocrida del XIV sec (f.2) e i più antichi affreschi della chiesa dei Santi Gioacchino ed Anna in Cappadocia (f.3).

L’ultima scena del rilievo del Sarcofago vede Maria seduta su un trono, attorniata dalle giovani donne che la riconoscono come Madre Divina (nei mosaici del V sec. in Santa Maria Maggiore a Roma, Maria siede regalmente su un trono, come regina, proprio nell’Annunciazione).

f. 1 – Sarcogago di Adelfia, in marmo, del IV-V secolo, rinvenuto nella chiesa di San Giovanni a Siracusa nel 1872, conservato nel Museo Paolo Orsi a Siracusa
f..2 – particolare del ciclo di affreschi in San Clemente ad Ocrida, XIV secolo, in cui, accanto alle due donne che sorreggono Maria, compare anche la giovane testimone che assiste all’Annunciazione.
f.3 – Affreschi della chiesa dei Santi Gioacchino ed Anna (ricostruzione grafica), risalenti al VII-IX, con scena del concepimento della Vergine, a Kizilcukur (Cappadocia)

b. La coperta di Evangeliario detto “Dittico delle cinque parti” (f.4,5), originaria di Ravenna del V sec. e conservato a Milano testimonia un’altra precoce rappresentazione dell’Annuncio alla fonte, con un disegno speculare rispetto a quello del sarcofago, senza la citazione classica della personificazione della fonte e con angelo alato, superando così la forma aptera, propria dell’inizio della rappresentazione cristiana.

f.4,5 – Valva anteriore del “Dittico delle cinque parti”, copertina di Evangeliario in avorio del V secolo, Milano, Museo del Tesoro del Duomo

c. La miniatura del MS Vat. gr.1162 (f.6), che raccoglie le omelie sulla Vergine di Giacomo di Kokkinobaphos, dipinta da un Maestro di Costantinopoli, nel XII secolo, riporta i due momenti dell’Annunciazione interpretando l’evento con ricchezza e cura grafica dei dettagli iconografici.

f.6 – Miniatura dal MS gr. 1162, con le due Annunciazioni apocrife, XII sec., Città del Vaticano

d. Nel ciclo dei mosaici della Cattedrale di S. Marco a Venezia (f.7), del XII sec., il racconto evangelico inizia con l’Annunciazione alla fonte, così come ad Istanbul, nei mosaici in Kiriye Camii (f.8), del XIV sec., testimonianza di una diffusa rappresentazione degli episodi apocrifi nei cicli musivi all’interno delle chiese bizantine, sicuramente a partire dalla Rinascenza Macedone, ma probabilmente anche prima in epoca preiconoclastica (gli affreschi del VII sec. della Chiesa Rossa di Perustica, oggi in Bulgaria, persi, ma descritti dalle fonti (b) documentano la presenza di cicli apocrifi dipinti anche in questa fase antica, così come abbiamo visto in Cappadocia, la chiesa dei Santi Gioacchino ed Anna).

f. 7,8 – particolari dai mosaici di San Marco a Venezia, del XII sec. e di Kirye Camii, ad Istanbul, del XIV sec.

2. Maria a sinistra, Gabriele a destra

Lo schema compositivo dell’Annunciazione più diffuso nella storia dell’arte vede Maria collocata a destra e Gabriele a sinistra.

A Castelseprio troviamo un ribaltamento nella posizione dei personaggi; inoltre, Maria, con in mano il fuso e la rocca, sta filando la porpora, e questo è un altro rifermento apocrifo (il sommo sacerdote le assegna il compito di realizzare un velo con la porpora per il Tempio del Signore), che tenderà a scomparire dal periodo gotico in poi.

Nella ricerca di modelli a cui la struttura compositiva di Castelseprio può essere confrontata ho trovato testimonianze di manufatti diversi per tecnica di realizzazione, ma che hanno in comune l’ambito di provenienza: Bisanzio e le aree dell’Asia Minore su cui l’influenza della capitale d’oriente era determinante.

Qui di seguito una carrellata di opere rappresentative di differenti tecniche che documentano questa iconografia (fare scorrere le immagini con le frecce).

3. La giovane testimone dell’Annunciazione e Visitazione

La giovane donna testimone dell’Annunciazione dipinta a Castelseprio, appare un elemento presente con più frequenza nelle rappresentazioni successive al X sec.; tuttavia, alcune tracce in epoche precedenti ci documentano che probabilmente fosse un soggetto già parte dei cicli più antichi, a volte anche con il ruolo di “testimone” a chiusura della scena della Visitazione.

D’altra parte, abbiamo già visto che l’Annunciazione e la Visitazione venivano accostate come una scena unitaria, sia nel caso di cicli narrativi sull’infanzia di Cristo che nelle rappresentazioni più dogmatiche (come esempi, la decorazione della conca absidale di Parenzo, del VI sec., o anche la decorazione ad affresco del catino absidale meridionale di Santa Sofia a Benevento dell’VIII sec.).

A proposito degli affreschi di Santa Sofia a Benevento, ben due ancelle assistono spaventate al dialogo tra l’arcangelo e Maria, quasi abbracciate, riverse a terra con una mano alzata come per difendersi dall’irruenza del messaggero divino.

Inoltre, una figura di testimone appare a volte nell’Annunciazione ad Anna, la madre di Maria, documentando quanto tale impaginazione dell’evento abbia una tradizione che affonda in testi figurativi altomedievali, sicuramente di area orientale.

Ho raccolto una carrellata di esempi di questa figura, intrecciando le tre possibili variazioni, frutto di uno stesso modello generativo; ho anche inserito opere successive cronologicamente a Castelseprio, ma realizzate entro il XIV secolo. Ciascuna di queste può aprire interessanti percorsi di ricerca (fare scorrere le immagini con le frecce).

Testo di Ivetta Galli