59ª Biennale: voci dalle minoranze non binary, trans, queer.

Yuki Kihara,  Fonofono o le nuanua: Patches of the rainbow (After Gauguin), 2020. Fotografia tableau, parte del progetto Pardise Camp, Padiglione della Nuova Zelanda, Arsenale, 59ª Biennale

Cecilia Alemani ha dichiarato, presentando la sua Biennale lo scorso anno, di volere dare voce alle espressioni marginali e minoritarie nel mondo dell’arte e, dico io, nella vita; una sfida coraggiosa, ma necessaria, se l’obiettivo della sua proposta è fare emergere, dalla moltitudine dell’arte contemporanea, quei germogli di ricerca e percorsi innovativi che colgono temi e urgenze poste dalle giovani generazioni.

Tra i materiali esposti nella Mostra e nei Padiglioni Nazionali ho raccolto alcune opere intorno al tema all’identità di genere, al mondo no binary e queer, trovando molti spunti interessanti, sia tra le proposte di figure artistiche storiche del Novecento, che contemporanee: una presenza discreta, ma che si offre al mondo dell’arte con determinazione, a sottolineare quanto sia necessario conoscere e portare alla luce le unicità della natura umana.

Annodare immagini e messaggi in questo percorso non è stato facile. Ci sono vissuti, un tempo rimossi o sconosciuti, che oggi nelle giovani generazioni prendono forma e corpo; alcuni artisti ne diventano portavoce, protagonisti di una rivoluzione culturale e sociale che si fa travolgente, che va oltre i temi specifici della comunità LGBTAQ+, per abbracciare le voci tutte delle minoranze, in modo intersezionale.

– Claude Cahun (1894-1954), esponente della rivoluzione surrealista.

Tra le artiste che hanno alimentato le ricerche delle avanguardie storiche, emergono figure molto interessanti, le cui storie e identità, non sempre facilmente definibili, raccontano di esistenze non conformi ai generi.

Emblematica è la figura di Claude Cahun, pronome di Lucy Renée Mathilde Schwob, fotografa, scrittrice e performer, protagonista della stagione del Surrealismo in Francia, di origine ebrea e impegnata nella Resistenza Francese.

Claude Cahun (1894-1954), Autoritratto riflesso allo specchio, 1928 ca., fotografia Giardini 59ª Biennale

Claude Cahun (1894-1954), Self portrait, in robe with masks attached, 1928, fotografia Giardini 59ª Biennale

Dalle opere selezionate nel percorso espositivo ho tratto due immagini significative: Autoritratto riflesso allo specchio, scatto fotografico in cui Claude, guardandoci, sembra fuggire dalla propria immagine riflessa, per offrirci quella percepita, non conforme a generi strettamente binari; in Self portrait, in robe with masks attached si traveste da bambola, oggetto/stereotipo di uno sguardo maschile da cui vuole affrancarsi, celando, attraverso il gioco di maschere, il proprio sé.

Claude Cahun si lega sentimentalmente alla sorellastra, Marcel Moore, pronome di Suzanne Malherbe; con lei, rifugiatesi sull’isola di Jersey nel 1938 per fuggire alla persecuzione antisemita, intraprenderà una lotta di resistenza contro i Nazisti, che occuperanno l’isola nel 1940. Sfruttando metodi di provocazione surrealista, diffondono di nascosto sull’isola volantini contro gli occupanti, firmati “soldato senza nome”.

Scoperte e arrestate nel 1944, saranno salvate dalla pena capitale in seguito all’armistizio nel 1945.

Segnalo un omaggio alla “resistenza poetica ” delle due protagoniste: il cortometraggio di Astré Desrives: Héroïnes, (dal titolo di un’opera di Claude Cahun), proiettato al Sicilia Queer Filmfest 2023, anno di produzione dello stesso.

– Sguardi dalle giovani generazioni

Particolarmente interessanti sono due videoinstallazioni; la prima era allestita nel Padiglione della Romania ai Giardini, creata da Adina Pintilie (1980), You are another me. A cathedral of the body, 2022, l’altra, collocata nel percorso espositivo dell’Arsenale, di Eglé Budvytyté (1981), Song from the Compost: Mutating Bodies imploding Starts,

Adina Pintilie (1980), You Are Another Me. A Cathedral of the Body, 2022, frames da videoinstallazione a tre canali – Padiglione della Romania, Giardini, 59ª Biennale

Adina Pintilie, artista rumena, crea uno spazio safe, evocando una cattedrale contemporanea, con proiezioni multicanali, in cui possiamo esplorare il dialogo intimo e poetico vissuto all’interno di convivenze oltre il binarismo di genere: celebrazione del corpo e delle relazioni umane al di là di ogni preconcetto.

Eglé Budvytyté, artista lituana, ha realizzato un video poetico in cui dà forma alle teorie della biologa Lynn Margulis, (teorica dell’endosimbiosi: l’evoluzione è data dall’interazione e cooperazione tra organismi) e della filosofa Octavia Butler (apre al concetto d’identità di genere, svincolato dal sesso assegnato alla nascita).

Eglé Budvytyté (1981), Song from the Compost: Mutating Bodies imploding Starts, 2020, frame da videoinstallazione, Arsenale, 59ª Biennale

Le immagini che scorrono nel video ci conducono in un’ambientazione onirica, dove un gruppo di giovani persone si muovono tra le dune sabbiose e le foreste lituane, incarnando forme e gesti fortemente interconnesse con il mondo vegetale, animale e minerale/geologico.

La colonna sonora, e le parole che accompagnano le sequenze, evocano una profonda nostalgia per uno stato “primordiale” in cui la vita è germogliata da una simbiosi tra organismi di specie differenti; nello stesso tempo, le visioni, carche di poesia, sono create per scardinare i presupposti della cultura antropocentrica, causa delle attuali gravi alterazioni ambientali nel nostro pianeta, alla ricerca di una via d’uscita dalle stesse.

Eglé Budvytyté (1981), Song from the Compost: Mutating Bodies imploding Starts, 2020, frames da videoinstallazione, Arsenale, 59ª Biennale

A questi temi di natura ecologica si intrecciano riflessioni sul corpo e l’identità di genere.

E’ evidente quanto negli ultimi anni sia emerso, in particolare nel mondo giovanile e a livello planetario (la Biennale lo certifica), una nuova consapevolezza rispetto all’ identità sessuale. Ci piaccia, o ci crei disorientamento, il tema sottende un processo rivoluzionario inarrestabile, frutto di nuove acquisizioni teoriche, filosofiche, mediche, scientifiche che appartengono all’ evoluzione del pensiero e della conoscenza in merito alle questioni di genere.

L’immagine che propongo, potente a riguardo, sintetizza le questioni più dibattute e i vissuti più profondi che alcunǝ giovanǝ trans hanno portato alla luce, a volte anche con sofferenza: un corpo che non si riconosce come rappresentativo della propria identità sessuale (da cui la necessità di cancellare il seno) e il complesso tema della maternità/genitorialità che ne deriva.

Eglé Budvytyté (1981), Song from the Compost: Mutating Bodies imploding Starts, 2020, frames da videoinstallazione, Arsenale, 59ª B

La creazione del video di Egle Budvytyté nasce dall’esigenza di cercare nuove vie per costruire relazioni e mondi possibili, all’insegna dell’inclusione e del rispetto, al di là di ogni confine oggi ancora troppo definito e di stabilire una relazione con l’ambiente fondata sulla conoscenza e la collaborazione con tutte le specie viventi.

– Da Samoa, Yuki Kihara, artista Fa’afafine

Dell’universalità delle tematiche di genere è testimonianza il progetto del Padiglione della Nuova Zelanda, Paradise Camp, allestito in Arsenale dall’artista Yuki Kihara.

Yuki Kihara, progetto Pardise Camp, Padiglione della Nuova Zelanda, Arsenale, 59ª Biennale

Siamo dall’altra parte del mondo occidentale, su di un’isola “mitica” allo sguardo coloniale, l’isola di Samoa.

Paradise Camp immagina l’utopia Fa’afafine che frantuma l’eteronormatività coloniale per aprire la strada ad una visione del mondo indigena, che sia più inclusiva e sensibile al cambiamento della natura” afferma Yuki Kihara.

La comunità Fa’afafine dell’isola di Samoa annovera persone indigene del “terzo genere”, cioè persone alla nascita uomini che si percepiscono donne, o con identità fluida; nella cultura dell’isola sono sempre state riconosciute parte integrante di tutta la comunità.

Il progetto trae spunto dall’iconografia di Gauguin, che, pur non avendo vissuto sull’isola di Samoa, aveva raccolto materiale fotografico e documenti anche dalla stessa, riproducendo in alcuni ritratti persone del terzo genere.

Yuki Kihara, progetto Pardise Camp, Padiglione della Nuova Zelanda, Arsenale, 59ª Biennale

Yuky Kihara elabora, con la tecnica fotografica, “tableau vivantes”, in cui da voce alla storia queer polinesiana, con l’obiettivo di decostruire i concetti di razza, genere, sessualità e geografia propri alla cultura coloniale.

Yuki Kihara, progetto Pardise Camp, Padiglione della Nuova Zelanda, Arsenale, 59ª Biennale

Accanto ai protagonisti, i colori sgargianti, i vestiti e i tessuti della tradizione locale, i paesaggi tropicali di fondo, che hanno subito pesanti devastazioni dallo tsunami nel 2009, sono gli ingredienti del linguaggio artistico di Kihara, volto a provocare una discussione sulle trasformazioni in atto in merito al cambiamento climatico, ai temi di genere e agli effetti delle colonizzazioni.

Testo e foto di Ivetta Galli