UNA “BUONA NOVELLA” DIPINTA, CASTELSEPRIO – 7. FIGURE E CORNICI DEL CICLO

FIGURE

Il racconto dell’infanzia di Gesù si dipana su due registri, sulla parete dell’abside, proponendo una sequenza figurativa continua sui modelli dei ‘rotuli’ antichi; le scene, tuttavia, sono inquadrate da cornici (fasce rosse) che scandiscono il ritmo della narrazione, contenendo, in alcuni casi, più episodi.

La fascia superiore è inframmezzata da tre clipei, sopra le tre aperture dell’abside, dei quali solo quello centrale, con il Cristo Pantocratore, si è conservato; gli altri due probabilmente rappresentavano Maria, alla destra di Cristo, e Giovanni Battista, alla sua sinistra, disegnando la rappresentazione della Deesis.

L’icona del Cristo si impone per le dimensioni e per l’intensità dello sguardo, reso ancor più umano da un leggero strabismo. Un uomo maturo, coi capelli lunghi, un viso scavato, triangolare, coperto da una barba molto rada, quasi smaterializzato; nella mano sinistra Cristo stringe un ‘rotulo’ avvolto con riflessi luminosi e con la destra benedice, seguendo la tradizione bizantina: due dita unite, la doppia natura di Cristo e tre dita leggermente aperte, il richiamo alla Trinità.

I tre clipei/icone dialogano con la raffigurazione posta di fronte sull’arco trionfale: al centro è dipinto un medaglione, quarto clipeo, con l’etimasia affiancata da due arcangeli in volo, simmetrici; il modello riprende una composizione trionfale romana detta “sinassi”, la cui struttura si rifà al tema delle vittorie alate in volo e simmetriche che sostengono l’immagine dell’imperatore o altri alti dignitari.

L’etimasia dell’arco trionfale presenta un trono su cui sono posti una croce ed una corona, il sacrificio di Cristo e la sua vittoria sulla morte con la Resurrezione, l’insieme diviene il simbolo della sua seconda venuta.

Gli arcangeli simmetrici al trono rappresentano un alto brano di pittura, per la loro modellazione chiaroscurale e la dinamica leggerezza della loro disposizione; anche solo alcuni particolari permettono di coglierne la bellezza del segno dipinto.

Secondo C. Jolivet-Levy, la collocazione di due arcangeli all’ingresso del santuario (presbiterio), è attestata in molte chiese della Cappadocia, ed è legata al loro ruolo di protettori ed intercessori.

CORNICI

Al di sotto del registro narrativo inferiore corre un elegante cordone di forma cilindrica, sulla cui superficie è disegnata una sorta di embricatura, abbastanza regolare, con tinte a tratti alternate azzurro/rosso, avvolto da un nastro azzurro, interrotto da piccole pezze bianche, ad andamento elicoidale, dall’aspetto serico.

I disegni riportati nel testo di Bognetti, Castelseprio, guida storico-artistica, Neri Pozza Editore, del 1974, (immagine a sinistra) sono preziosi documenti per ricostruire questi particolari che, al tempo della scoperta dell’opera, erano meglio conservati.

In corrispondenza all’episodio dell’Adorazione dei Magi, il cordone esce da un vaso ad imbuto, secondo una modalità che ritroviamo in altre testimonianze che documento nell’approfondimento.

Parallela al cordone/festone, è dipinta una finta mensola sorretta da travicelli, in prospettiva, che accompagna, con la diversa inclinazione dei travicelli a destra e a sinistra, la concavità dell’abside, accentuandone virtualmente la forma ad esedra.

Come si vede nella foto le tracce rimaste sono molto labili.

Nella zona centrale, in asse col Cristo Pantocratore, alcuni frammenti di affreschi ci testimoniano l’immagine di un trono con cuscino e libro chiuso, dalla copertina gemmata, ora poco leggibile; una relazione simbolica lega il trono con il libro chiuso, il Vecchio Testamento che profetizza la venuta di Cristo, collocato in asse con l’icona di Cristo nel clipeo, il Signore incarnato, e, di fronte, il trono vuoto in attesa della sua seconda venuta.

A fianco del trono, tracce dipinte di due portali simmetrici, ad arco ribassato; sotto tali arcate, un’asticella reggeva velari chiari che, si presume, dovessero coprire tutta la parte inferiore dell’abside.

Si intravedono appena, purtroppo, adagiati sopra l’asticella, le sagome diverse di due colombe, disposte frontalmente, e, tra loro, il segno di una crocetta appesa ad una catenella pendente dall’arco.

Possiamo solo immaginare la meraviglia che doveva suscitare l’insieme dei dipinti, nella loro completezza, anche solo cogliendo la freschezza e il naturalismo di queste deboli tracce conservate!

APPROFONDIMENTO ICONOGRAFICO

ICONA DEL CRISTO PANTOCRATORE

Dal confronto proposto tra le diverse ma affini rappresentazioni del Cristo Pantocratore, risulta evidente la continuità del modello elaborato nella prima pregnante icona, conservata nel Monastero di Santa Caterina del Sinai e risalente al VII secolo; nell’immagine, capolavoro dell’arte bizantina, la doppia natura umana e divina di Cristo si fa concreta nel segno naturalistico tracciato dal pittore.

L’affresco di Castelseprio sembra riproporre il profondo significato dell’icona, tema che caratterizza l’interpretazione del ciclo nel suo complesso, oltrechè ricalcare alcuni elementi fisiognomici del busto del Cristo; tuttavia, al posto del codice gemmato, propone il rotulo di pergamena, particolare abbastanza raro tra le opere sopravvissute di questa iconografia.

La presenza del rotulo mi ha stimolato a ricercare altre immagini simili; dall’indagine sono emerse le testimonianze che ho riportato: dal mosaico bizantino perduto di Nicea, dell’XI secolo, affine anche per la composizione nel tondo; come al mosaico di Roma, nel Sacello di San Zenone, del IX secolo, L’altra icona conservata nel Sinai, di cui non ho trovato data, ripropone il rotulo pur scostandosi nella definizione del busto del Cristo. Infine il mosaico di Istanbul, più recente, ricalca in modo interessante il modello iniziale.

Proprio in merito al ‘rotulo’ ho trovato alcune immagini di Cristo rappresentato in catini absidali, parte di differenti iconografie; nelle rappresentazioni più antiche Cristo, a volte, è adolescente. Il rotulo appare frequentemente nelle rappresentazioni della “traditio legis” , con Pietro e Paolo, insieme o da soli, rivolti a ricevere da Cristo le leggi sacre. Nella sequenza proposta ci sono anche due miniature: una di origine armena del VI secolo, in cui il Cristo in Maestà tra Santi stringe nella mano sinistra il ‘rotulo’, l’altra, de IX secolo, di ambito carolingio. Durante il IX secolo, a Roma, sotto il pontificato di Pasquale I nei catini absidali compaiono più rappresentazioni di Cristo con rotulo.

DEESIS ED ETIMASIA CON ARCANGELI

La presenza dei tre clipei che interrompono il ciclo storico, dei quali solo quello centrale è ancora leggibile con l’immagine di Cristo, viene interpretata come rappresentazione della Deesis, Maria e Giovanni Battista a fianco di Cristo, che si fanno intercessori tra il popolo e Dio.

Tale motivo accompagnava spesso il ciclo dell’incarnazione, negli affreschi in Cappadocia, come evidenziato dalle analisi di C. Jolivet-Levy: “La presenza della Vergine e del Battista (a fianco di Cristo, n.d.r.) è caratteristica di tutta una serie di programmi absidali della Cappadocia (dal X secolo n.d.r.), ma rivela una tradizione probabilmente più largamente diffusa dall’epoca paleocristiana: lo testimoniano la decorazione dell’Ampolla n.20 di Bobbio (VI sec) e una miniatura del MS Vat gr. 699, f. 76, del IX sec., ma copia di un originale del VI di Cosmas Indicopleustes, che concordemente si considerano come il riflesso di decorazioni monumentali…

MS Vat gr. 699, f. 76, del IX sec. – Affiancano la ‘Deesis’, Zaccaria e d Elisabetta, mentre nei due clipei, Anna e Gioacchino.

il programma absidale … che subordina alla visione di Cristo in Gloria i testimoni principali dell’Incarnazione, proclama, inoltre, la doppia natura umana e divina di Cristo e i dogmi fondamentali dell’Incarnazione e della Redenzione: si può collocare la sua creazione nel contesto delle controversie cristologiche protobizantine e della lotta, particolarmente viva in Cappadocia, contro le eresie. Questa tradizione che afferma la validità della rappresentazione di Cristo in forma umana, fu ripresa, o mantenuta, nella regione dopo l’Iconoclastia.” (Catherine Jolivet-Levy, op. cit., p.340).

Una testimonianza della precocità della rappresentazione della Deesis in clipei, all’interno di programmi decorativi absidali, la troviamo nei mosaici che rivestono l’arco trionfale dell’abside del Monastero di Santa Caterina del Sinai, risalenti alla metà del VI secolo.

Particolare dei mosaici dell’abside e dell’arco trionfale della Basilica di Santa Caterina del Sinai, VI secolo

Il tema figurativo che incornicia la Trasfigurazione del catino absidale vede al centro dell’arco un clipeo con la raffigurazione dell’Agnello di Dio sovrapposto ad una croce greca, a cui due arcangeli simmetrici, in volo, con ali di pavone, offrono un globo e lo scettro entrambi crociati.

Sotto di loro, in due clipei, il volto di Giovanni Battista e quello di Maria.

Dalla lettura del testo ‘I mosaici della Basilica del Monte Sinai’ di Jerzy Miziolek (in Arte Cristiana 94, 2006), si evince che Kurt Weitzmann avrebbe ravvisato in questi soggetti una precoce rappresentazione della Deesis e l’autore dello studio citato interpreta il clipeo con l’Agnello una rappresentazione della seconda venuta di Cristo, l’Agnello dell’Apocalisse, seconda venuta celebrata anche con il simbolo dell’Etimasia; il riferimento al ritorno di Cristo sulla terra è sotteso anche all’iconografia della Trasfigurazione, qui in asse al medaglione dell’Agnello,

Notiamo un’affinità sorprendente tra le figure angeliche del Sinai e quelle di Castelseprio, compositivamente desunte dalle vittorie alate presenti nei monumenti romani celebranti figure imperiali.

L’artista di Castelseprio nel concepire il proprio raffinato programma teologico ha rielaborato figure e simboli radicati nelle rappresentazioni dei cicli decorativi liturgici dell’epoca di Giustiniano, come si evince anche dal mosaico presente a Ravenna, in San Vitale, coevo al VI secolo:

Troviamo anche un riscontro nel disegno degli affreschi persi di San Severo in Classe a Ravenna, datati al IX secolo, documento interessante oltre che per gli arcangeli simmetrici in volo disposti sull’arco, per la presenza dei clipei sopra le aperture centinate: sembra che quello a destra possa contenere un volto femminile, Maria, quello al centro ripropone l’Agnello di Dio, mentre non c’è più traccia del volto del terzo clipeo a sinistra.

Approfondendo gli studi dei cicli dipinti in Cappadocia si trova una riflessione interessante sull’intreccio simbolico tra rappresentazione della Deesis e dell’Etimasia; è sempre Catherine Jolivet- Levy che, nel descrivere gli affreschi dell’abside nord del Monastero dell’Arcangelo San Michele, dell’XI secolo, a Cemil in Cappadocia,  ci fa osservare che:

“La Vergine e il Battista…inquadrano la nicchia… La presenza simultanea della Vergine orante e del Battista profeta della salvezza, testimoni della venuta del regno di Cristo, rappresentato più in alto, al centro, richiama una tradizione più antica dei programmi absidali della regione….

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Disegno ricostruttivo del registro inferiore dell’abside nord di San Michele a Cemil, Cappadocia, XI secolo

Ma il programma che associa il ricordo dell’Incarnazione e della Redenzione alla evocazione della seconda venuta trionfale, tema strettamente legato tramite la liturgia della preghiera d’intercessione dei fedeli, è ugualmente attestato a Costantinopoli: il grande arco orientale di Santa Sofia, decorato verso il 1355, mostra il trono dell’etimasia (con la croce) tra la Vergine orante e Giovanni Battista”. ( Catherine Jolivet- Levy, op. cit. p. 160)

Un’ultima riflessione, infine, relativa al frammento del trono con libro, con copertina gemmata, adagiato su un cuscino, in asse con l’icona di Cristo, che rappresenterebbe la parola dell’Antico Testamento, dipinta al centro della parete absidale, quindi di fronte all’arco trionfale: questa figura richiama, sia per soggetto che per collocazione all’interno dell’abside, la struttura architettonica del ‘synthronon’, dipinta nell’episodio de “La prova delle acque amare”; un simile motivo è rappresentato nella miniatura del ‘Primo Concilio di Costantinopoli’, del MS gr. 510, del IX secolo, conservato nella Biblioteca Nazionale di Francia; il confronto tra le due rappresentazioni evidenzia affinità compositive anche nella scelta di affiancare due nicchie simmetriche al trono.

CORNICI DIPINTE

Il motivo delle mensole con travicelli in prospettiva che a Castelseprio separa i due registri narrativi dalla fascia in basso, ha un’origine molto antica; lo troviamo, ad esempio, dipinto nella camera funeraria a Palmira della ‘Tomba dei tre fratelli’, del II secolo d.C..

A Salonicco abbiamo una testimonianza dello stesso motivo nei mosaici della Cupola in San Giorgio, risalenti al V secolo.

Un’ importante cornice a mensola appare anche nei disegni già citati degli affreschi perduti di San Severo in Classe a Ravenna, del IX secolo.

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Lo stesso motivo viene usato in Cappadocia per delimitare cicli narrativi, come nell’esempio riportato in Tokali Kilise a Goreme del X secolo.

Abbiamo visto che sopra la mensola correva un cordone cilindrico, rivestito di foglie ad embricatura, avvolto da un nastro elicoidale; anche questo elemento è caratteristico del repertorio classico e si trova in numerose testimonianze: in quelle più antiche, delle prime fasi paleocristiane, il cordone era una vera e propria ghirlanda con frutta  e fiori, avvolta da un nastro elicoidale; oppure, lo stesso motivo, poteva essere interpretato in forma semplificata e geometrizzata, secondo stilemi tardoantichi, in particolare in ambito scultoreo. Il motivo decorativo pare essere molto diffuso intorno al IX e X secolo, come documentano le testimonianze raccolte, che spaziano da Roma a Bisanzio e sono relative sia ad edifici sacri importanti che a miniature.

Ivetta Galli

UNA “BUONA NOVELLA” DIPINTA, CASTELSEPRIO – 1. ANNUNCIAZIONE E VISITAZIONE

Stregata dai dipinti di Castelseprio, quarant’anni fa come adesso, riprendo in mano appunti e documenti allora raccolti attorno a questo affascinante mistero di arte altomedievale e cerco aggiornamenti e nuovi studi.

Importanti recenti tasselli arricchiscono la comprensione degli affreschi; tuttavia, la mancanza di documenti d’archivio, che ne testimonino la committenza, lascia ancor oggi aperta la discussione sulla individuazione dell’epoca di realizzazione degli stessi.

Una sintesi interessante dei principali studi storiografici maturati attorno a questo ciclo pittorico riemerso dal 1944, per merito di Gian Piero Bognetti, viene proposta da Paolo Nobili nella rivista Porphyra dell’aprile 2010, al seguente link: http://www.porphyra.it/supplemento11.pdf. Rimane sempre molto valido il contributo di Maria Andaloro nell’Enciclopedia Treccani, del 1993, al seguente link: https://www.treccani.it/enciclopedia/castelseprio_(Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale).

Con questi appunti vorrei accompagnarvi lungo quel percorso di indagine che più mi attrae, esplorando immagini ed iconografie di simile contenuto, tra alcune testimonianze artistiche sopravvissute nell’Altomedioevo.

Storie, figure e forme che ci parlano di migrazioni, rapporti e intrecci tra oriente e occidente, nella parte di mondo che si affaccia sul Mediterraneo orientale; una storia antica ma, nello stesso tempo, ancora attuale.

Di “Buona Novella” si tratta, citando Fabrizio De André, a suo tempo attratto dai racconti dei Vangeli Apocrifi, tanto da permettergli di creare un album musicale estremamente suggestivo, che trae spunto da racconti evangelici colorati di umanità e sentimenti, calati in una realtà possibile pur se a tratti sconfinante nel “mistero del sacro”.

Presento il ciclo affrontandolo per episodi e tematiche figurative; quindi ho suddiviso la lettura delle diverse iconografie in una prima presentazione divulgativa e una seconda parte di approfondimento disciplinare.

IL RACCONTO COMINCIA…

Il racconto inizia da questa giovane donna, affacciata ad un’apertura alle spalle di Maria, dal suo gesto spontaneo di stupore e meraviglia per ciò che vede: un angelo con grandi ali spiegate che sta parlando con Maria. Probabilmente è una delle cinque vergini che sarebbero restate con Maria nella casa di Giuseppe finché non si fossero sposati, come aveva stabilito il sommo sacerdote, secondo il Vangelo Apocrifo dello Pseudo Matteo.

MS Vat. Gr. 1162, XII sec. – “…Allora Giuseppe prese Maria con altre cinque vergini che dovevano restare con lei nella sua casa. Queste vergini erano: Rebecca, Sefora, Susanna, Abigea e Cael, alle quali fu dato, dal pontefice, seta, giacinto, bisso, scarlatto, porpora e lino… A Maria toccò di prendere la porpora per il velo del Tempio del Signore.” (Vangelo dello Pseudo Matteo)

Maria era andata a prendere l’acqua alla fonte e, mentre attingeva l’acqua, un angelo le si era avvicinato dicendole: “Sei beata, Maria, perché nel tuo utero hai preparato un’abitazione per il Signore. Ecco che dal cielo verrà la luce e abiterà in te e, per mezzo tuo, risplenderà in tutto il mondo”. (Vangelo dello Pseudo Matteo)

Qui nel dipinto è seduta su un morbido cuscino, sulla soglia della sua casa, accanto a lei una brocca, appoggiata a terra, traccia della prima annunciazione; ora Maria alza lo sguardo verso Gabriele che, apparso per la seconda volta, si china verso di lei e la benedice. Gabriele impugna una lunga asta, veste una tunica chiara sulla quale sono disegnate fasce rettangolari di stoffa decorata; un nastro trattiene la riccia capigliatura che incornicia un volto vivace e giovane, dallo sguardo intenso rivolto a Maria.

Maria con l’indice della mano sinistra, che stringe il fuso e la rocca su cui è avvolto il filo di porpora srotolato dai gomitoli della cesta ai suoi piedi, si indica, con un velo di dubbio, proprio io?

Un’istantanea fotografica, un racconto visivo che rende talmente vero ed efficace l’evento miracoloso da proiettarci con forza all’interno del dialogo tra i due protagonisti.

E, come in una sequenza incalzante, di seguito si delinea la scena della Visitazione: Maria è china nell’abbraccio con Elisabetta, che teneramente appoggia la mano sul ventre gravido della cugina; Elisabetta è purtroppo quasi del tutto persa, così come quello che seguiva a chiudere la scena, probabilmente la sua casa; non per questo viene meno la forza della tenerezza e della solidarietà tra donne in attesa.

Il mistero della gestazione di Maria si dissolve in una narrazione carica di umanità; il pittore ha tradotto in una sintesi visiva perfetta i brani dei vangeli apocrifi, il Vangelo dello Pseudo Matteo e il Protovangelo di Giacomo: il racconto delle due apparizioni di Gabriele a Maria, la prima, quando si trova ad attingere l’acqua alla fonte, la seconda, mentre fila la porpora davanti la casa, a cui assiste la giovane donna che vive con lei; infine, l’incontro tra cugine che avviene all’aperto, secondo la tradizione apocrifa e non quella del Vangelo di Luca, in cui l’evento avviene nella casa di Zaccaria, marito di Elisabetta.

APPROFONDIMENTO ICONOGRAFICO

La presenza di segni iconografici raffinati, ci fa presumere che il pittore avesse una ricca cultura figurativa e si muovesse con disinvoltura e familiarità tra i testi evangelici apocrifi e canonici; l’artista, inoltre, padroneggiava un linguaggio immediato, spontaneo, naturalistico, con una declinazione ellenistica che i contemporanei testi figurativi, ad oggi conosciuti, parevano aver abbandonato.

1. Annunciazione alla fonte

La brocca ai piedi di Maria non è lì per caso, ci riporta al momento dell’Annuncio alla fonte.

Indagando alcune testimonianze artistiche di rappresentazioni apocrife dell’evento, troviamo prevalentemente manufatti legati alla cultura costantinopolitana, a testimoniare la diffusione di tali soggetti soprattutto in oriente, ma anche il sarcofago di Adelfia, di origine romana del IV sec, rinvenuto nelle catacombe di Siracusa, a documentare una presenza di tali temi anche in area occidentale.

a. Il  Sarcofago di Adelfia (f.1), conservato a Siracusa, di origine romana, è datato al IV-V secolo: il rilievo che ci interessa è collocato a sinistra del clipeo con la coppia di sposi e presenta tre scene che attingono la propria struttura dai Vangeli Apocrifi, secondo le ultime ipotesi interpretative che condivido.

La sequenza inizia con la fonte, a cui Maria sta attingendo l’acqua, vegliata dalla personificazione della sorgente stessa, con alle spalle l’Angelo Gabriele aptero, che le sta parlando.

Segue la rappresentazione di Maria accompagnata da due giovani ragazze, probabilmente una rara “figura” di Maria che viene sostenuta simmetricamente da due donne mentre riceve la grazia divina. L’iconografia viene individuata da André Grabar (nel testo “Le vie della creazione nell’iconografia cristiana”, Jaca Book, 1988) ed, a riguardo, cita due esempi: gli affreschi in San Clemente ad Ocrida del XIV sec (f.2) e i più antichi affreschi della chiesa dei Santi Gioacchino ed Anna in Cappadocia (f.3).

L’ultima scena del rilievo del Sarcofago vede Maria seduta su un trono, attorniata dalle giovani donne che la riconoscono come Madre Divina (nei mosaici del V sec. in Santa Maria Maggiore a Roma, Maria siede regalmente su un trono, come regina, proprio nell’Annunciazione).

f. 1 – Sarcogago di Adelfia, in marmo, del IV-V secolo, rinvenuto nella chiesa di San Giovanni a Siracusa nel 1872, conservato nel Museo Paolo Orsi a Siracusa
f..2 – particolare del ciclo di affreschi in San Clemente ad Ocrida, XIV secolo, in cui, accanto alle due donne che sorreggono Maria, compare anche la giovane testimone che assiste all’Annunciazione.
f.3 – Affreschi della chiesa dei Santi Gioacchino ed Anna (ricostruzione grafica), risalenti al VII-IX, con scena del concepimento della Vergine, a Kizilcukur (Cappadocia)

b. La coperta di Evangeliario detto “Dittico delle cinque parti” (f.4,5), originaria di Ravenna del V sec. e conservato a Milano testimonia un’altra precoce rappresentazione dell’Annuncio alla fonte, con un disegno speculare rispetto a quello del sarcofago, senza la citazione classica della personificazione della fonte e con angelo alato, superando così la forma aptera, propria dell’inizio della rappresentazione cristiana.

f.4,5 – Valva anteriore del “Dittico delle cinque parti”, copertina di Evangeliario in avorio del V secolo, Milano, Museo del Tesoro del Duomo

c. La miniatura del MS Vat. gr.1162 (f.6), che raccoglie le omelie sulla Vergine di Giacomo di Kokkinobaphos, dipinta da un Maestro di Costantinopoli, nel XII secolo, riporta i due momenti dell’Annunciazione interpretando l’evento con ricchezza e cura grafica dei dettagli iconografici.

f.6 – Miniatura dal MS gr. 1162, con le due Annunciazioni apocrife, XII sec., Città del Vaticano

d. Nel ciclo dei mosaici della Cattedrale di S. Marco a Venezia (f.7), del XII sec., il racconto evangelico inizia con l’Annunciazione alla fonte, così come ad Istanbul, nei mosaici in Kiriye Camii (f.8), del XIV sec., testimonianza di una diffusa rappresentazione degli episodi apocrifi nei cicli musivi all’interno delle chiese bizantine, sicuramente a partire dalla Rinascenza Macedone, ma probabilmente anche prima in epoca preiconoclastica (gli affreschi del VII sec. della Chiesa Rossa di Perustica, oggi in Bulgaria, persi, ma descritti dalle fonti (b) documentano la presenza di cicli apocrifi dipinti anche in questa fase antica, così come abbiamo visto in Cappadocia, la chiesa dei Santi Gioacchino ed Anna).

f. 7,8 – particolari dai mosaici di San Marco a Venezia, del XII sec. e di Kirye Camii, ad Istanbul, del XIV sec.

2. Maria a sinistra, Gabriele a destra

Lo schema compositivo dell’Annunciazione più diffuso nella storia dell’arte vede Maria collocata a destra e Gabriele a sinistra.

A Castelseprio troviamo un ribaltamento nella posizione dei personaggi; inoltre, Maria, con in mano il fuso e la rocca, sta filando la porpora, e questo è un altro rifermento apocrifo (il sommo sacerdote le assegna il compito di realizzare un velo con la porpora per il Tempio del Signore), che tenderà a scomparire dal periodo gotico in poi.

Nella ricerca di modelli a cui la struttura compositiva di Castelseprio può essere confrontata ho trovato testimonianze di manufatti diversi per tecnica di realizzazione, ma che hanno in comune l’ambito di provenienza: Bisanzio e le aree dell’Asia Minore su cui l’influenza della capitale d’oriente era determinante.

Qui di seguito una carrellata di opere rappresentative di differenti tecniche che documentano questa iconografia (fare scorrere le immagini con le frecce).

3. La giovane testimone dell’Annunciazione e Visitazione

La giovane donna testimone dell’Annunciazione dipinta a Castelseprio, appare un elemento presente con più frequenza nelle rappresentazioni successive al X sec.; tuttavia, alcune tracce in epoche precedenti ci documentano che probabilmente fosse un soggetto già parte dei cicli più antichi, a volte anche con il ruolo di “testimone” a chiusura della scena della Visitazione.

D’altra parte, abbiamo già visto che l’Annunciazione e la Visitazione venivano accostate come una scena unitaria, sia nel caso di cicli narrativi sull’infanzia di Cristo che nelle rappresentazioni più dogmatiche (come esempi, la decorazione della conca absidale di Parenzo, del VI sec., o anche la decorazione ad affresco del catino absidale meridionale di Santa Sofia a Benevento dell’VIII sec.).

A proposito degli affreschi di Santa Sofia a Benevento, ben due ancelle assistono spaventate al dialogo tra l’arcangelo e Maria, quasi abbracciate, riverse a terra con una mano alzata come per difendersi dall’irruenza del messaggero divino.

Inoltre, una figura di testimone appare a volte nell’Annunciazione ad Anna, la madre di Maria, documentando quanto tale impaginazione dell’evento abbia una tradizione che affonda in testi figurativi altomedievali, sicuramente di area orientale.

Ho raccolto una carrellata di esempi di questa figura, intrecciando le tre possibili variazioni, frutto di uno stesso modello generativo; ho anche inserito opere successive cronologicamente a Castelseprio, ma realizzate entro il XIV secolo. Ciascuna di queste può aprire interessanti percorsi di ricerca (fare scorrere le immagini con le frecce).

Testo di Ivetta Galli