“NON E’ UNA BIENNALE (58ª) PER VECCHI” – 3. L’ALTRA META’ DEL CIELO

Appunti sulla 58ª Biennale di Venezia

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L’ALTRA META’ DEL CIELO

Renate Bertlmann (Austria, 1943) – Discordo ergo sum, 2019 – particolare dell’installazione – Padiglione dell’Austria

Donne, donne, tante donne, decisamente la maggioranza!

Di conseguenza la “questione femminile” viene affrontata in molti lavori, motivo ricorrente in ogni parte del pianeta.

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Renate Bertlmann (Austria, 1943) – Discordo ergo sum, 2019 – installazione – Padiglione dell’Austria

Partiamo dal Padiglione dell’Austria, all’interno del quale Renate Bertlmann costruisce un percorso che titola “Discordo ergo sum”, generando subito un conflitto con la grande scritta al neon, da lei apposta all’ingresso, “Amo ergo sum”; la riflessione sull’ambivalenza dell’esistenza e dell’amore si fa ancora più esplicita nella pregnante installazione del cortile del Padiglione, dove un fitto mare di rose rosse/coltelli evoca la ricerca che l’artista, fin dagli anni Settanta, ha realizzato intorno alle tematiche di “genere” .

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Cathy Wilkes (Belfast, 1966) – Untitled, 2019, installazione site specific – Padiglione della Gran Bretagna

Uno spazio rarefatto, silenzio, l’essenziale: Cathy Wilkes crea nel Padiglione della Gran Bretagna un ambiente permeato da uno sguardo femminile, distribuendo qua e là idoli dal portamento infantile, da corpicini smaterializzati e sguardi incantati ma capaci di una potenza generativa che prorompe dall’ingombrante ventre gravido; figure femminili filiformi e fiabesche accostate a frammenti di membra e simboli di una vita domestica ripetitiva e faticosa, quasi dolente. Sospensione in un luogo del sacro, omaggio poetico e malinconico al potere creativo femminile.

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Samira Alikhanzadeh (Teheran, 1967) – The Rigid Phantom of Memory, 2019, Padiglione dell’Iran

Nel Padiglione dell’Iran, Samira Alikhanzadeh affronta il tema del passato come memoria e come radice di un presente/futuro permeato dalla presenza di figure di donne, sue antenate, indispensabili all’esistenza; volti stampati su rete metallica, appesi a gruccette come abiti, si stagliano su una trama fitta di versi poetici in “farsi”, si completano nell’installazione con eleganti coppie di scarpe, simboli femminili per eccellenza.

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Suki Seokyeong Kang (Corea, 1977) – GRANMOTHER TOWER, 2018, Struttura in acciao dipinta – Giardini

All’interno del Padiglione centrale dei Giardini un inconsueto monumento alla propria nonna, realizzato dall’ artista coreana Suki Seokyeong Kang, la cui articolata struttura in acciaio dipinto, modellata su forme curve ed “ingobbita” ad evocare l’età della signora, rende omaggio alla forza e alla tenacia dimostrata dalla donna in epoca di guerra e di grandi trasformazioni sociali e politiche della Corea.

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Teresa Margolles (Messico, 1963) – Lo Busquedo, 2014 – Tre lastre di vetro con cornice di legno, frequenze sonore, manifesti – Arsenale

Un’inquietante installazione ci accoglie all’Arsenale, dove Teresa Margolles ricostruisce un angolo della cittadina di Ciudad Juarez, al confine tra Messico e Usa, teatro di numerosissimi femminicidi; l’artista messicana ne denuncia l’emergenza che va oltre il proprio paese, stimolando una reazione collettiva e culturale. Su pannelli di vetro, che vibrano ai rumori di fondo di una strada, sono appesi “pezze” di manifesti reali di donne scomparse: frammenti di reale creano un ambiente carico di drammaticità.

L’artista Zahrah Al Ghamdj, nell’allestimento del Padiglione dell’Arabia Saudita, ha creato un ‘altrove’ giocoso e sorprendente, costruendo un percorso visivo, tattile e sonoro, delimitato da pareti curvilinee di tela leggera e sensibile al passaggio, rivestite di migliaia di piccoli oggetti in cuoio con forme morbide. Il lieve tocco delle strutture genera suoni avvolgenti e naturali.

Zahrah Al Ghamdj (1977)- Mycelium Running, 2018 – installazione in cuoio nel Padiglione dell’Arabia Saudita – Arsenale

Lo stupore generato dall’immersione in un mondo quasi magico si arricchisce con la consapevolezza di un “fare” artistico che recupera materiali naturali e tradizionali, e con la riemersione di una ricca cultura anche poetica dell’Arabia; il titolo dell’installazione “After illusion” è tratto da un verso di un poema arabo del VII secolo che celebra il ricorso all’illusione/immaginazione anche per risolvere problemi concreti.

Ivetta Galli

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