“NON E’ UNA BIENNALE (58ª) PER VECCHI” – 4. INNO ALLE DIVERSITA’

Appunti sulla 58ª Biennale di Venezia

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INNO ALLE DIVERSITA’

Il mondo complesso e variegato delle persone “non conformi” e delle minoranze trova voce in numerosi lavori esposti nelle sedi principali della Mostra come nei Padiglioni Nazionali sparsi per la città di Venezia.

All’interno di questo mondo diffuse sono le riflessioni sulle questioni di genere LGBTQI+ (appartenenti alla galassia “queer”, definizione utilizzata in mostra per definire il tema), sigla che connota un ampio spettro di varianti di identità e orientamento sessuale; se ne fanno interpreti in particolare i giovani. Da racconti introspettivi personali, che testimoniano il difficile percorso di accettazione della propria diversità e di relazione con le figure genitoriali, a visioni frantumate del proprio corpo alla ricerca di una serena ricomposizione della propria identità, all’orgoglio “dipinto” attraverso immagini fisse e in movimento che rivendicano un’esistenza felice, anche attraverso atti di “resilienza”.

Billy Gerard Frank (Grenada) – 2nd Eulogy:Mind The Gap, 2019 – frame da video – Padiglione di Grenada

Billy Gerard Frank, artista originario di Grenada (oggi vive a New York), propone un poetico ed emozionante video in cui racconta il ritorno alla sua isola, viaggio che intraprende alla ricerca del padre con cui riconciliarsi, ma che non trova più, e alla riscoperta della propria cultura d’origine. Le magnetiche immagini narrano il difficile rapporto con una terra di cui si sente estraneo e il peso dei conflitti vissuti per la sua omosessualità (sul sito dell’artista il trailer del magnifico video).

https://www.billygerardfrank.com/VENICE-BIENNALE-2019-EULOGY

Korakrit Arunanondchai (1986) – No history in a room filled with people with funny names 5, 2018 – installazione video a tre canali – Arsenale.

L’artista tailandese Korakrit Arunanondchai (1986) intreccia esperienze personali con la cultura, le tradizioni ed eventi recenti della propria terra. Nella complessa e molto suggestiva installazione video a tre canali, l’artista, attraverso la danza e le movenze eleganti, quasi sofferte, di boychild (artista performer queer di origine asiatica), ci conduce tra le riprese che documentano il salvataggio dei 12 bambini e del loro allenatore intrappolati in una grotta nel nord della Thailandia, avvenuto nel 2018, tra i malinconici ritratti dei nonni anziani e malati di demenza senile e tra le immagini di antichi riti e leggende sopravvissuti allo sviluppo economico e tecnologico del paese.

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Frida Orupabo (Norvegia 1986) – Untitled, 2018, collage con graffette su alluminio – Padiglione Centrale dei Giardini.

Frida Orupabo, norvegese, con radici nigeriane, affronta nei suoi lavori il tema della rappresentazione del corpo femminile di colore, utilizzando immagini della cultura di massa: ritaglia e riassembla parti del corpo esplorando i tabù legati all’etnia, alla sessualità e al genere. Le figure deformate che ne derivano sono espressive della fatica e della sofferenza vissute in funzione della ricerca della propria identità e dei rapporti di potere che vuole modificare.

Nicole Eisenman (Francia, 1965) – Morning Studio, 2016, olio su tela – Padiglione Centrale dei Giardini

I grandi, nitidi e quasi metafisici dipinti di Nicole Eisenman ci conducono in interni privati, ma anche in luoghi metropolitani, spazi in cui protagonista è la persona con tutte le sue sfaccettature emotive: figure colte in gesti teneri e sensuali, momenti di banale normalità contemporanea, come in situazioni grottesche ed inquietanti.

Martine Gutierrez (Usa, 1989) – Demons, Chin, 2018 – Padiglione centrale dei Giardini

L’artista Martine Gutierrez, giovane artista trasgender, indaga le radici della propria origine guatemalteca quale percorso necessario di legittimazione della propria identità.

Ai Giardini della Biennale sono esposte tre opere dell’artista della serie Demons, divinità azteche precoloniali in cui si personifica, tra cui Chin, divinità dell’omosessualità

Sono stata spinta a chiedermi: come si forma, si esprime, si apprezza e si soppesa l’identità come donna, come donna transessuale, donna latina, donna di origine indigena e come artista? È quasi impossibile arrivare a qualsiasi risposta definita, ma per me questo processo di esplorazione è squisitamente vivificante“ (M. Gutierrez)

siren eun young jung (Corea, 1974) – “A Performing by Flasch, Afterimage, Velocity, and Noise”, 2019 – frame da video – Padiglione della Corea

Il Padiglione della Corea del Sud, “History Has Failed Us, but No Matter”, mette al centro della scena “chi è nascosto, dimenticato, abbandonato, condannato o inespresso”. Tra gli interessanti lavori esposti si impone l’installazione audiovisiva su tre pareti: “A Performing by Flasch, Afterimage, Velocity, and Noise”; e’ un lavoro intenso e coinvolgente, di siren eun young jung (artista che non vuole maiuscole per il proprio nome) che parte dalla rimozione dei temi di genere, caratteristica della cultura coreana, ma non solo evidentemente, per difendere un tradizionale genere di teatro coreano interpretato da sole donne, attualizzandolo con tematiche queer. Intervengono nella performence visiva: KIRARA, musicista elettronica trasgender, Yii Lee, attrice lesbica, Seo Ji Wong, donna disabile e AZANGMAN, drag king. Riferita a quest’ultima protagonista è la fotografia da video che ho riportato: documentazione della storia desolante narrata da AZANGMAN, rifiutata dalla famiglia e dalla società, costretta ad una vita nomade, che trova nell’arte e nella musica il proprio riscatto.

Pauline Boudry (Losanna, 1972) e Renate Lorenz (Berlino, 1963) – Moving Backwards, 2019 – da videoinstallazione. Padiglione della Svizzera
Barbara Wagner (Brasilia, 1980) e Benjamin de Burca (Brasilia, 1975) – Swinguerra, 2019 – da videoinstallazione. Padiglione del Brasile

Le due videoinstallazioni, la prima del Padiglione della Svizzera mentre la seconda è del Brasile, propongono interessanti affinità, basate sul significato della danza, per le giovani generazioni, come atto di resilienza e di affermazione gioiosa e collettiva delle proprie varie identità di genere.

Pauline Boudry e Renate Lorenz ricostruiscono un ambiente da discoteca undergound e queer, proponendo un’esperienza immersiva ritmata da intensi brani di musica contemporanea, sui quali danzano cinque giovani performer; i gesti e le coreografie che i giovani interpretano con grande energia e a tratti, ironia, incarnano un’esperienza di resistenza a quelle prepotenti forze culturali regressive che sembrano oggi minare le libertà d’espressione.

Swinguerra, titolo della videoinstallazione di Barbara Wagner e Benjamin de Burca, deriva da un termine che unisce la parola swingueira, antico e popolare ritmo di danza del Brasile nordorientale, con guerra: la danza, che dunque rielabora musica, ritmo e gesti dalla tradizione brasiliana, diviene una potente espressione di resistenza e di riscatto sociale per i giovani, qualsiasi sia il loro orientamento sessuale. Il palcoscenico della performance diviene luogo in cui la “fisicità”, al di là dei ruoli “eteroimposti”, si esprime liberamente veicolando energie positive.

Oltre alle tematiche LGBTQI+ portate in superficie attraverso “corpi” che si fanno arte, altre “diversità” si impongono al nostro sguardo e ci interrogano sulla potenza creativa che può scaturire da una esperienza di sofferenza ed emarginazione.

Mari Katayama (Giappone, 1987) – Dalla serie Shadow Puppets 2016, fotografia – Padiglione Centrale dei Giardini

La giovane artista giapponese Mary Katayama, coipita da una malattia genetica che le ha distrutto le tibie e una mano, parte dalla propria disabilità fisica per costruire esuberanti installazioni con vivaci tessuti decorati a pattern floreali, ricostruendo e moltiplicando mani e oggetti antropomorfi, circondando la propria immagine di un mondo fantastico, corpo esposto che rivendica la propria esistenza e la propria sensualità.

Jos de Gruyter (1965) e Harald Thys (1966) – Mondo cane. Il pazzo, 2019 – particolare dell’installazione del Padiglione del Belgio

Il Padiglione del Belgio ha ricevuto una menzione speciale come partecipazione nazionale: “con il suo humor spietato offre una visione alternativa degli aspetti, spesso trascurati, dei rapporti sociali in Europa”. Al centro, una serie di “automi” incarnano attività artigianali e lavori caratteristici della società europea. I movimenti meccanici sono scanditi da rumori e suoni; tutt’intorno gabbie chiuse da robuste grate di metallo, rinchiudono, gli emarginati, gli invisibili, gli “altri”. Il mondo favoloso e folkloristico creato con la magia di bambole animate svanisce velocemente con la messa a fuoco di particolari spiazzanti, in quanto evocatori di terribili eventi storici del secolo scorso; emblematica è la figura centrale del gruppo che sembra incarnare il dittatore per eccellenza, Hitler.

Jos de Gruyter (1965) e Harald Thys (1966) – Mondo cane, 2019 – Padiglione del Belgio

Con linguaggio graffiante, gli artisti rappresentano lo spaccato contemporaneo di un mondo ancorato alle tradizioni, aggrappato alle proprie radici, chiuso su se stesso e incapace di aprirsi ai diversi da sé.

Ivetta Galli

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