“NON E’ UNA BIENNALE (58ª) PER VECCHI” – 7. RIPARTIAMO DAL RITO

Appunti sulla 58ª Biennale di Venezia

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RIPARTIAMO DAL RITO

Shilpa Gupta (Mumbai 1976) For in You Tongue I cannot fit – Sound Installation with 100 speakers, microphones, printed text and metal stands, Site Specific. Arsenale, Biennale di Venezia 2019

Il richiamo di un recitativo corale, ritmato da melodie meditative, sottotono, diffuse, mi ha prepotentemente attirato all’interno dell’ intensa installazione dell’artista indiana Shilpa Gupta.

In una sala con luci basse e soffuse, una selva di 100 aste metalliche simili a leggii, al posto di sorreggere spartiti musicali trafiggono con punte affilate bianchi fogli con frammenti di versi di altrettanti poeti; l’artista ha raccolto testimonianze di poeti incarcerati, e a volte condannati a morte, di diverse nazioni, dal VII secolo ad oggi.

Shilpa Gupta (Mumbai 1976) For in You Tongue I cannot fit – particolare. Sound Installation with 100 speakers, microphones, printed text and metal stands, Site Specific. Arsenale, Biennale di Venezia 2019

Una pioggia di microfoni dal soffitto si lega a ciascun poema, dando voce ai versi e alle diverse lingue che li raccontano, seguiti da cori che potenziano e diffondono il messaggio di libertà. Si intrecciano, tra altri, versi di lingua azera, inglese, araba, indi, russa, in una babele sonora carica di suggestione.

Shilpa Gupta (Mumbai 1976) For in You Tongue I cannot fit – Sound Installation with 100 speakers, microphones, printed text and metal stands, Site Specific. Arsenale, Biennale di Venezia 2019

Non so quanto sia condivisa la forte emozione che ho provato, ma sicuramente quest’opera d’arte totale, avvolgente che, via via, diviene narrazione di violente censure, sguardo sulla potenza della parola e riflessione sull’universale bisogno di difendere il diritto alla libertà di espressione, testimonia quanto l’arte sia linguaggio necessario e urgente.

Shilpa Gupta ha orchestrato ‘medium’ differenti attorno alla creazione di un luogo immersivo, all’interno del quale il coinvolgimento delle diverse percezioni sensoriali ci porta a ‘condividere’, camminando lentamente tra le pagine trafitte da leggii appuntiti, le tragiche esperienze di oppressione di libertà: si partecipa così ad un rito collettivo, ad una celebrazione laica di forte impatto emotivo e poetico, in cui il vissuto di appartenenza ad una ‘comunità’ lenisce gli orrori della violenza repressiva e ci rassicura con il calore della vicinanza all’altro.

Pablo Vargas Lugo, Acts of God, frame da video, Padiglione del Messico – Arsenale 58ª Biennale di Venezia

L’artista messicano Pablo Vargas Lugo (Città del Messico, 1968)  propone una interessante e coinvolgente videoinstallazione partendo dalla riflessione sul ruolo della fede e delle religioni nel nostro mondo contemporaneo.

I due video proposti all’Arsenale mettono in scena una lettura del Nuovo Testamento che, seppur ambientata per costumi nell’epoca di Cristo, è decisamente attualizzata, creando sequenze di immagini fortemente evocative per l’insieme di simboli iconici: immagini/frame che spesso si caricano di nuovi significati, da noi colti con uno sguardo calato nell’oggi.

Pablo Vargas Lugo, Acts of God, frame da video, Padiglione del Messico – Arsenale 58ª Biennale di Venezia

La tensione dell’uomo al sacro e il bisogno di ritualità, secondo l’artista, non devono essere sfruttati dal potere politico per incentivare atteggiamenti identitari che portino a “ giustificare posizioni nazionaliste e settarie”.

Ivetta Galli

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