

DITE LA VERITA’?
Se il tutto non fosse riscattato dalla poesia visiva e dal valore artistico, l’episodio documenterebbe un assurdo ” rito della verità”, di cui si parla nell’Antico Testamento, a cui una donna sospettata di adulterio veniva sottoposta per dimostrare la propria innocenza.
Il pittore di Castelseprio mette in scena il brano del Vangelo dello Pseudo Matteo che coinvolge nella verifica della verità anche Giuseppe; di Giuseppe si scorge solo il frammento delle gambe dalle ginocchia in giù, coperte da una morbida tunica chiara a fasce, e i piedi nudi in scorcio, valorizzati da una sottile linea d’ombra.
“… Maria fu condotta al Tempio… Giuseppe fu chiamato all’altare e gli fu data l’acqua della bevanda del Signore: il bugiardo che l’avesse gustata, dopo che aveva compiuto sette giri attorno all’altare, riceveva da Dio un qualche segno sulla faccia. Giuseppe, dunque, dopo aver bevuto sicuro, compì i sette giri attorno all’altare, e in lui non apparve alcun segno di peccato…. Maria… si apprestò fiduciosa all’altare del Signore e bevve l’acqua della bevanda, fece sette giri intorno all’altare e in essa non trovò macchia alcuna…” (Pseudo Matteo, 12, 2,3).
Maria, china di fronte al sommo sacerdote, che potrebbe essere Zaccaria, padre di Giovanni Battista, si avvicina umilmente alla brocca da lui sostenuta, con la mano destra tesa al recipiente e l’altra mano velata. E’ l’anziano Zaccaria che colpisce per lo sguardo concentrato, preoccupato, ma anche protettivo nei suoi confronti.

Il contesto architettonico dipinto attorno ai protagonisti, che nell’approfondimento analizzerò anche in merito ad alcune recenti scoperte, confermano il valore artistico del pittore, capace di costruire anche coerenti cornici scenografiche.
APPROFONDIMENTO ICONOGRAFICO
1. LA PROVA DELLE ACQUE AMARE
L’episodio di Castelseprio è una testimonianza oggi molto rara tra quelle conservate; alcuni parallelismi sono riscontrabili coi cicli dipinti delle chiese rupestri in Cappadocia, a partire dal X secolo.
I manufatti più antichi che narrano questo evento spesso si rifanno al testo del Protovangelo di Giacomo. Tra le immagini proposte, alcuni esempi trovati che risultano realizzati sempre in area orientale e bizantina.
2. SOMMO SACERDOTE: ZACCARIA?
Il sommo sacerdote, figura autorevole e anziana, con barba e lunghi capelli bianchi, veste l’abbigliamento tipico della cultura ebraica: abiti liturgici preziosi, con paramenti che ricoprono la veste decorati con gemme ancor oggi in parte rilucenti; particolare è il nastro che ferma i capelli e che in cima regge un oggetto quadrangolare, probabilmente il contenitore in metallo che conteneva la scritta “Santo è il Signore”, proprio dei sommi sacerdoti in Israele.
Il sommo sacerdote, finemente inquadrato nella cultura ebraica, ha un nimbo azzurro, a differenza di Maria che lo porta color giallo/oro, elemento che ne sottolinea la santità e che lo identifica probabilmente con Zaccaria, figura fondamentale nei racconti evangelici dell’Infanzia di Cristo, di cui ritornerò a parlare in merito alle scene mancanti del ciclo di Castelseprio.
L’iconografia di Zaccaria nell’arte altomedievale e medievale si propone spesso con invarianti riconoscibili:



Affresco dal catino absidale di Santa Sofia a Benevento, VIII sec.; mosaico dal Monastero di Hosios Loukas, Grecia, XI sec.; affresco dal Monastero della Santa Croce a Gerusalemme, medievale.
A questo oggetto sacro posto sul capo spesso si associa un turibolo, contenitore per incenso, che Zaccaria tiene in mano, a volte appeso ad una catenella. E’ affascinante notare, anche in questo piccolo esempio, come il nostro maestro di Castelseprio, pur rimanedo ancorato a modelli convenzionali bizantini, riesca a rielaborarli in maniera del tutto originale.
3. LO SPAZIO ARCHITETTONICO DIPINTO
Lo spazio absidale che incornicia la scena riprende elementi architettonici di arredo che rimandano ad edifici paleocristiani legati alla capitale d’Oriente. In particolare i gradoni disegnati ad esedra, con tessuto azzurro e cuscino nella parte alta centrale, ripropone il “syntronon”, struttura semicircolare con trono vescovile al centro, collocata nell’abside di alcune chiese paleocrisiane e bizantine.
Una costruzione che documenta questa struttura può essere rintracciato nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Grado, del V sec.:

Ma altri esempi interessanti sono documentati in Sant’Irene e Sant’Eufemia a Costantinopoli, del VI secolo, come nella basilica di Santa Maria Assunta a Torcello, dell’XI secolo.
Un modello importante di Syntronon è disegnato nella miniatura del Codice delle Omelie di Gregorio di Nazianzo, MS. gr. 510, del IX secolo:

Un’interessante ipotesi in merito a questo elemento di arredo architettonico a Casteseprio viene avanzata da Pietro Brogiolo nello studio pubblicato nel 2014 “Nuove ricerche su sequenza, cronologia e contesto degli affreschi di Santa Maria foris portas di Castelseprio”. a cura di Gian Pietro Brogiolo, Vincenzo Gheroldi, Flavia De Rubeis, John Mitchell.
In seguito ad analisi effettuate sui tre strati di intonaco sovrapposti nell’abside, Brogiolo osserva che nella zona centrale non è presente il secondo strato intermedio, in corrispondenza di una superficie che potrebbe configurarsi come un arredo ligneo simile ad un syntronon, collocato dunque contestualmente al secondo strato di intonaco.
Il terzo ed ultimo strato è quello del ciclo dipinto, per la cui realizzazione potrebbe essere stato rimosso l’arredo ligneo, sul quale il pittore ha steso l’intonaco necessario per il racconto: il syntronon dipinto a cornice della Prova delle acque amare non può essere una “citazione” di quello realmente preesistente?
Certo occorrerebbe approfondire se avesse senso la presenza eventuale di trono vescovile a Castelseprio, o di una struttura che ne imitasse la forma.
Ivetta Galli







