
Girando tra i Padiglioni Nazionali ai Giardini, colpisce l’allestimento realizzato da Simone Leigh per quello degli Stati Uniti: una capanna, sul modello del Padiglione del Congo, costruito per l’Esposizione Coloniale a Parigi nel 1931, che qui si fa dimora del complesso mondo creativo dell’artista afroamericana, vincitrice del Leone d’oro.
Simone Leigh (1967), Sovereignty, 2022, Padiglione deli Stati Uniti, 59ª Biennale di Venezia e Postcard del ‘Pavillon des transports’, mostra del Congo Belga alla Esposizione Coloniale di Parigi del 1931
Entriamo nel progetto artistico di Simone, volto a decostruire e ribaltare l’immaginario che lo sguardo colonialista ha fissato in fotografie storiche, per valorizzare con orgoglio la dignità della cultura afroamericana, riscrivendo così, con l’arte, frammenti di storia e di memoria ignorati dalla narrazione ufficiale.
Nella prima sala del Padiglione Statunitense incontriamo l’installazione ‘L’ultimo indumento’: la figura china della lavandaia, riflessa in un suggestivo gioco di specchi d’acqua, rielabora l’immagine di una delle cartoline che il governo coloniale britannico aveva diffuso per propagandare lo stereotipo delle donne della Giamaica, persone pulite, disciplinate, obbedienti, al fine di incentivare il turismo sulle isole coloniali.



Simone Leigh (1967), Last Garment, 2022, Bronzo, Padiglione deli Stati Uniti, 59ª Biennale di Venezia e Postcard di C.H. Graves, Mammy’s Last Garment, Jamaica, 1879
Proseguendo nella Rotonda del Padiglione, un’affusolata, essenziale ed imponente figura di forma femminile, Sentinel, si contamina simbolicamente con la forma dei ‘bastoni di potere’ africani, utilizzati nei riti di fertilità, portatori di sapienza divina.
Il motivo iconografico che potenzia questo significato simbolico è la grande forma concava al posto della testa, che, come un’antenna parabolica, celebra le capacità ricettive e intuitive della donna.



Simone Leigh (1967), Sentinel, 2022, Bronzo, Padiglione deli Stati Uniti, 59ª Biennale di Venezia
La forma concava/convessa associata al capo del corpo femminile, è fortemente evocativa: Simone la propone anche all’esterno del Padiglione, dove ci accoglie ‘Satellite‘ una figura di donna/capanna, architettonica e totemica, creata sia sul modello dei D’mba, maschera a spalla a forma di busto femminile della Guinea, che sulla suggestione dell’idolo femminile visibile nella foto riportata.


Simone Leigh (1967), Satellite, 2022, esterno del Padiglione deli Stati Uniti, 59ª Biennale di Venezia e
Postcard, M. E: Chevrier, Guinée, idole femelle des Bagasforés, 1907 ca.
‘Satellite’ si erge su quattro pilastri arcuati, che creano uno spazio architettonico integrato al corpo femminile, realizzando la struttura di un volume simile ad una capanna.
Questa iconografia, di donna/dimora, matura dall’interesse dell’artista per l’architettura vernacolare africana e le pure forme geometriche delle capanne, assumendo un insieme di significati fortemente coerenti alla sua ricerca.
Ancora una volta questo modello sovverte uno stereotipo radicato in tutte le culture patriarcali, quello dell’Angelo del focolare: Simone Leigh plasma forme scultoree che celebrano con orgoglio la soggettività femminile nera, coerentemente con il suo impegno di attivista in ambito politico in difesa dei diritti civili per tutte le minoranze.
All’ingresso dell’Arsenale, l’imponente Brick House, scultura per la quale ha vinto il Leone d’Oro in questa Mostra, si erge al centro di un’ampia sala in forma monumentale e allo stesso tempo essenziale, figura carica di evocazioni emotive e culturali, potente messaggio della sua poetica.

L’opera, realizzata nel 2019 per il parco sopraelevato High Line a New York, viene qui riproposta come apertura del percorso della Biennale all’Arsenale, simbolo carico di temi e forme evocative che costituiscono il nucleo fondamentale della mostra, pensata da Cecilia Alemani.
Una forma stabile e sicura, che riprende modelli di capanne del popolo Musgum del Camerun, si fa corpo, abito, contenitore di uno spazio che può accogliere, può curare, può proteggere, può generare, ma solo se la donna sceglie di farlo, nella sua completa autodeterminazione.


Simone Leigh (1967), Brick House, Arsenale, 59ª Biennale di Venezia e Abitazioni/capanne del popolo Musgum del Camerun
Pochi ma significativi simboli completano il capo della donna nera: lunghe trecce che terminano con conchiglie di ciprea, richiamo alla fertilità, volto con caratteristiche etniche sottolineate ma senza occhi; la scultura non è ritratto, ma icona archetipa di femminilità, dove lo sguardo, senza fermarsi sulla superficie, deve indagare i livelli più profondi della sua essenza e umanità.
Testo e foto di Ivetta Galli


