
“… noi siamo coesi, ci contagiamo a vicenda. Le nostre azioni sono le gomme che cancellano i confini, e riscriviamo il presente con il nostro affetto. Siamo il futuro…. Forse, e dico forse, il futuro appartiene ai meticci, ai bastardi” (Saif ur Relman Raia, Hijra (trad. Frocio), Fandango Libri, 2024)
Le parole di Saif, giovane autore pakistano, tratta dal suo racconto autobiografico, può essere una delle chiavi di lettura di “FOREIGNERS EVERYWHERE”, 60ª Biennale di Venezia, in cui lo sguardo del curatore, Adriano Pedrosa, ci offre le forme, i segni, le voci, i rumori e i colori dell’”altro”, dello straniero, ovunque esso sia, anche quello che abita dentro di noi.
Le prospettive e i punti di vista spesso inconsueti, come le tecniche di rappresentazione proprie delle culture marginali, intrecciate ai medium contemporanei, sollecitano l’esplorazione di mondi ed esperienze poco conosciuti, che possiamo comprendere ed apprezzare con uno sguardo ‘innocente’, integrando e superando i nostri schemi di interpretazione “occidentalicentrici”.
Dobbiamo farci prendere per mano dall’astronauta nomade di Shonibare che, all’ingresso delle Corderie dell’Arsenale, carico di un pesante ‘ kit’ per la sopravvivenza alle crisi ecologiche ed umanitarie e coperto da una tuta di tessuto africano, si dirige all’interno tra gli spazi creati dagli artisti alla ricerca di nuovi mondi possibili.

Dalle periferie del pianeta arrivano immagini affascinanti di mondi reinventati, luoghi di vita gioiosa, desiderata, costruiti sulle macerie di una storia di oppressione e di dipendenza coloniale. Sono disegni di luoghi in cui si intreccia l’ambiente naturale e la vita delle persone, la narrazione dei miti, con una comune passione per il segno deciso, la semplificazione delle figure e delle forme e l’uso di tinte vivaci, squillanti, stese con campiture piatte, in prospettive ribaltate, mondi rappresentati con varie tecniche artistiche, dipinti su muro, quadri su tela e anche ‘arazzi’, con fili intrecciati di origine animale o vegetale e pezze di stoffe cucite.

Tracciare percorsi di lettura all’interno della complessa visione dell’arte della contemporaneità, nutrita di storia e di antropologia, è un’impresa che mi ha coinvolto con passione; sono curiosa di cogliere le visioni articolate, ma nello stesso tempo comuni o parallele, raccontate dagli artisti dell’oggi, da qualsiasi luogo, origine e cultura provengano, alla ricerca di quel minimo-comune-denominatore che ci riconosce come umanità in viaggio sul pianeta terra nel 2024.
Dalle sedi della Biennale, Giardini e Arsenale, e dai Padiglioni diffusi nella città , mi sembra di poter cogliere alcune figure e forme che si ripropongono frequentemente, immagini sedimentate in un immaginario collettivo contemporaneo, segni/sogni carichi di senso, che prefigurano possibili e creative vie di uscita dalle tragedie dell’oggi.
Riassumo queste sollecitazioni in quattro categorie, definite dalle seguenti parole-chiave, anche se frequentemente tali figure ‘migrano’ tra di loro:
- FILI – TRAME – MAPPE – MONDI
- CAPANNA – ‘SAFE-SPACE’
- CORPI – VOLTI
- ACQUA – TERRA – FANGO – ARGILLA
(Testo di Ivetta Galli, foto di Ivetta Galli, Aldo Mazzolini e Flavio Mazzolini)
